LA PITTURA IN SERBIA E IN MACEDONIA DALL'INIZIO DEL SECOLO XII FINO ALLA METÀ DEL SECOLO XV

Svetozar Radojčić

Contrariorum oppositione saeculi
pulchritudo componitur.

AUGUSTINUS, De civitate Dei, XI, 18.



La storia dell'arte in Balcania differisce sensibilmente dalla storia dell'arte medievale nella vicina Italia. Nella penisola balcanica, nei tempi in cui l'attività artistica ebbe piena fioritura, nel periodo dal VI al XV secolo, non si verificarono tanti contrasti e mutamenti quanti ve ne furono in Italia, dove vari influssi, occidentali, bizantini e musulmani, agivano e si incrociavano sopra una base già esistente di antiche tradizioni. Due grandi stili, il romanico ed il gotico, raggiunsero soltanto le regioni ai margini dei Balcani, il litorale dalmata e i feudi dei nobili occidentali in Albania ed in Grecia. Il nucleo dell'arte medievale balcanica rimase bizantino. Dopo il grande caos che anche nella Balcania fu pròvocato dalla migrazione dei popoli, sui territorii della provincia balcanica, appartenenti all'Impero bizantino si mantenne la continuità della cultura artistica, una continuità che per la purezza delle sue tradizioni affascina ancor oggi.
L'irruzione e la colonizzazione delle popolazioni slave nella Balcania andava effettuandosi a forti ondate, nel corso dei secoli VI e VII. L'invasione degli Slavi fu fermata sotto le mura delle città costiere, sull'Egeo e sull'Adriatico. Più tardi, a cominciar già dal X secolo, anche gli Slavi nei Balcani, loro nuova patria, presero a consolidarsi in formazioni statali più grandi. Per primi si distinsero i Bulgari con il loro impero di Simeone, e infine, nel sec. XIV, i Serbi con l'impero dello zar Dušan.
La Chiesa, che nelle intricate situazioni della vita politica nell'Occidente apportava benefici elementi di stabilità e di continuità, anche in Oriente fu sostenitnce di quelle idee che tendevano all'unione, all'armonia e alla pace. Due tratti singolari dell'ortodossia orientale hanno avuto un'influenza particolarmente positiva sulla vita politica e culturale di quell'ambiente. In Oriente, la Chiesa tendeva piuttosto ad armonizzare il potere temporale con quello secolare. Senza ambizioni di tenere il potere secolare, la Chiesa di Costantinopoli adempiva più facilmente ai suoi compiti missionari. Inoltre, il patriarcato di Costantinopoli permetteva la fondazione di Chiese nazionali. La sua liberalità in questo riguardo fu d'importanza decisiva per la formazione delle letterature e delle culture nazionali nel mondo ortodosso. Gli ortodossi slavi, dal momento della loro evangelizzazione, potevano disporre di libri sacri nella loro lingua. Né i Bulgari, né i Russi, né i Serbi, nel Medio evo hanno dovuto aspettare l'impulso del Rinascimento per avere le prime poesie, le prime cronache e biografie scritte nella propria lingua. È questa una delle ragioni principali per la quale gli Slavi dei Balcani, in un lasso di tempo relativamente breve, dal VI all'XI sec. riuscirono ad adattarsi a una cultura più elevata ed a crearvi dei propri campi particolari. Quei popoli, abituati a pregare Iddio nella propria lingua, e nella propria lingua a pensare e scrivere, impararono abbastanza presto anche ad osservare con i propri occhi ed a dipingere di propria mano.
Non è necessario ricordare nemmeno che per tutti i giovani popoli ortodossi i modelli bizantini restavano « exemplaria graeca ». Ci poniamo un'altra domanda di estrema delicatezza: come gli allievi comprendevano i maestri e come si attenevano ai loro insegnamenti nelle proprie necessità, idee e sentimenti?

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Le recenti scoperte hanno dimostrato che molte idee sostenute fino ad oggi, difettavano di generalizzazioni premature. Specialmente sono molto schematizzati i contorni dello sviluppo generale della pittura bizantina. Il corso stesso delle ricerche della pittura bizantina non permetteva, per la sua parzialità, di avvistare tutti i problemi di quest'arte così complessa e di trattarli nel loro insieme.
La ricca galleria rappresentata dai mosaici bizantini, dagli affreschi, dalle iconi e dalle miniature è stata analizzata in prevalenza quale tesoro inesauribile di motivi iconografici. I classici trattati sull'iconografia del Kondakov, del Pokrovski, del Millet e dello Strzygowski, senza citare i contemporanei, ci hanno rivelato il contenuto teologico ed ideologico della pittura bizantina. Nello stesso tempo, studi speciali di singole regioni ci hanno dato la possibilità di conoscere una speciale pittura, locale e nazionale, nell'ambito della immensa zona bizantina euro-asiatica. Il nuovo materiale artistico, scoperto negli ultimi decenni, non soltanto ha arricchito la nostra conoscenza della pittura bizantina, ma l'ha anche approfondita. Le recenti scoperte dei mosaici a Costantinopcli ed a Salonicco e le scoperte degli affreschi nell'interno della Balcania, hanno apportato nuova luce nei problemi, dimostrando nello stesso tempo anche quanto lontane dal vero fossero certe ipotesi accettate prima così facilmente.
L'arte bizantina è entrata nella storia attraverso molti ostacoli di dotte polemiche dello stile delle tesi, sostenute con tanta animosità, da Josef Strzygowski. L'erudizione, discreta e salda, dello Ainalov, all'inizio del nostro secolo, rimase notata appena, forse secondo quella regola ironica del 1900: « Slavica non leguntur! ». Nonostante ciò, le nuove scoperte hanno talmente convalidato le idee dello Ainalov sulle basi ellenistiche dell'arte bizantina, che il suo trattato, dopo mezzo secolo e dopo la sua morte, è stato tradotto in lingua inglese.
Lo studio unilaterale dell'arte bizantina dal tardo Evo antico al Medio evo è stato severamente metodico, ma in molti casi ha portato su strade sbagliate. Anche involontariamente, si stava formando un pregiudizio sul declino graduale e costante dell'arte bizantina. Il Kondakov ancora era persuaso che con la prima caduta di Costantinopoli, nel 1204, avesse termine la storia dell'arte bizantina. La scoperta dei mosaici nella moschea Kahrie, all'inizio del secolo XX, mise in dilemma molti studiosi di quel tempo. Gli splendidi mosaici dell'inizio del sec. XIV furono valutati come una casuale eccezione, unica, quasi un anacronismo. Si insisteva continuamente su un pregiudizio in realtà fatale. Il corso dell'arte bizantina veniva confrontato coi corsi dello sviluppo dell'arte dello Occidente.
Ancora Julius von Schlosser, parlando dell'essenza e del valore dell'arte bizantina, insisteva sulla somiglianzà delle principali tappe dello « sviluppo » dell'arte orientale e di quella occidentale, nell'Europa medievale disgregata. Il « concordia discors » fra il romanico bizantino e quello occidentale ed il gotico bizantino e quello occidentale — nelle spiritose associazioni di idee di Julius von Schlosser — aveva la squisita bellezza di un'ipotesi affascinante, ma non poteva venir convalidata né da fatti storici, né da monumenti artistici.
L'arte bizantina, in verità, non fu un'arte progressiva, non si sviluppava, non conquistava l'incognito, non si avventurava in esperimenti, essa semplicemente perdurava. Quest'arte matura, provata, adattabile e vitale disponeva di una vasta gamma di varianti. Negli ambiti più ristretti delle scuole nazionali, quest'arte attraversò fasi che per quei popoli giovani rappresentavano tappe di sviluppo, ma anche questi « sviluppi interni » furono solo temporaneamente progressivi. Prima di accettare la cultura artistica bizantina, i popoli giovani dei Balcani dovettero passare per i labirinti dell'arte primitiva che, per il suo carattere, corrispondeva esattamente all'arte semibarbara del primo Medioevo nell'Occidente. Cf. Nella tarda miniatura dei manoscritti macedoni e serbi del sec. XIII, vi sono rimasti degli elementi che si ricollegano direttamente alla ornamentazione fantastica delle iniziali in Occidente, nel sec. VII e VIII. Però, questo corso progressivo nell'arte degli Slavi della Balcania durò precisamente fino al punto in cui si sentirono maturi per accettare l'elevata arte bizantina. Da quel momento il destino dell'arte nel nuovo ambiente slavo si svolse secondo le leggi della vita dell'arte bizantina, secondo la legge, cioè, che si limitò alla nobile capacità di scegliere i modelli dell'inesauribile tesoro degli antichi originali. Nella libertà della scelta sta tutto il segreto della trasformazione dell'arte bizantina, e ciò appena negli ultimi anni diviene sempre più evidente. L'originalità elementare delle scuole nazionali si basava sul medesimo principio: la scelta del modello nella capitale si mutava secondo le aspirazioni dell'ambiente di Costantinopoli o di quello di Nicea.
La scelta dei modelli nelle arti nazionali si effettuava secondo i gusti dellaélite istruita dei giovani popoli.
Composte da elementi di una stessa provenienza, le varianti delle scuole di Costantinopoli (di Nicea o di Salonicco) e di quelle nazionali, rappresentavano in questo modo una ricca sinfonia di contrasti che non usciva mai dalla comune cornice dell'insieme.

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II classico territorio dell'affresco medievale serbo si trova sulla linea verticale di comunicazione, lungo i fiumi Vardar e Morava, strada che congiunge Salonicco con Belgrado. In questa direzione andava il corso principale dell'arte bizantina nei Balcani, al quale affluivano i corsi secondari dall'Occidente, da Durazzo, da Cattaro, da Ragusa e da Zara. Cf. Su questa così importante linea di penetrazione, spingendosi dal Sud verso il Nord, la pittura bizantina creò i propri centri fra gli Slavi della Macedonia, nelle chiese missionarie sulle sponde dei laghi macedoni, a Kastoria, a Prespa e specialmente a Ocrida. Ocrida, quale sede dell'arcivescovado che si estendeva fino al Danubio, ebbe senza dubbio una parte decisiva nella diffusione della cultura fra i pericolosi Slavi, che sfruttavano ogni difficoltà in cui si trovasse Costantinopoli, per sollevare una rivolta contro i Greci. Gli affreschi nella Basilica di S. Sofia a Ocrida, recentemente ripuliti, hanno fornito nuovi preziosi dati sull'arte figurativa nell'interno della penisola balcanica. Cf. Lo stile monumentale e severo dei più vecchi affreschi di Ocrida, già verso la metà del sec. XI, in alcune composizioni, dimostra un disegno irrequieto, complesso, che nel corso del XII sec. si trasformò in manierismo calligrafico del « tardo linearismo dell'epoca dei Comneni ». Le estreme forme di questo stile dalle figure longilinee, dai movimenti bruschi, con drappi svolazzanti, si sono conservate a Kurbinovo, sul lago di Prespa, negli affreschi che risalgono al 1191.
Questa pittura, di data accertata, sorprende per l'universalità della sua espressione; nata alle soglie del sec. XIII, essa comprende in sé elementi affini agli affreschi di Nerezi e Kastoria, ma anche elementi affini alla pittura della Cappadocia ed a quei mosaici di S. Marco a Venezia, che il Demus fa risalire al 1200 circa. La scena dell'incontro della Vergine e S. Elisabetta, a Kurbinovo, per stile e per l'iconografia ricorda moltissimo la stessa scena del ciclo della Vergine nella Chiesa di S. Marco a Venezia; che questa rassomighanza non sia casuale ce lo dimostrano le figure degli Apostoli a Kurbinovo e a S. Marco.
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Kurbinovo: Incontro della Vergine con S. Elisabetta (1191)

Questa corrispondenza fra la pittura macedone e quella veneziana negli anni di transizione, che corrono dal sec. XII al sec. XIII, rivelano una certa insistente inclinazione verso il tradizionale, nei tempi in cui il vecchio stile si ritirava in provincia cedendo all'ondata della nuova pittura, che tendeva a forme più grandi, più semplici e più classiche.
La crisi dell'Impero bizantino, che all'inizio del sec. XIII provocò la caduta di Costantinopoli e nell'antica capitale sul Bosforo portò al potere i Latini, non ebbe molta influenza sull'arte bizantina. Tuttaltro, si può dire che il crollo dell'ormai già fiaccato regime politico ridestò le ultime forze creative, specialmente nei campi della letteratura, delle scienze e dell'arte.
Negli ultimi anni si è molto discusso sulle origini e sull'inizio della rinascenza dei Paleologi, particolarmente nel campo della pittura. La discussione, limitata esclusivamente alla pittura, era tenuta forzatamente ristretta su una piattaforma che non permetteva una più larga veduta sul complesso dei problemi di un movimento artistico, che si era manifestato anche nell'architettura e nella scultura, non indipendentemente dalla letteratura.
Il periodo, in cui l'antica pittura monumentale serba cominciò a fiorire, è strettamente legato ai grandi mutamenti avvenuti a Costantinopoli all'inizio del XIII sec. Lo sfacelo del governo politico di Bisanzio rese possibile ai Serbi di fondare definitivamente la propria indipendenza politica; le nuove tendenze nell'arte trovarono nel giovane Stato dei Serbi un terreno favorevole, non gravato da tradizioni.
Una viva attività edilizia in Serbia, nel corso del XIII e XIV sec. influì molto sullo sviluppo della pittura. Grazie a questa circostanza, le chiese serbe divennero una ricca galleria di affreschi, che non illustrano soltanto lo sviluppo dell'arte della Serbia medievale, bensì mettono in nuova luce l'intera vita artistica della pittura bizantina, vita piena di dinamismo e di varietà, specialmente nel sec. XIII. Cf.
Alcuni decenni fa si parlava ancora della pittura bizantina del XIII sec. come di uno « stile di transizione » tra l'arte dei Comneni e dei Paleologi. Oggi risulta chiaramente che questo attributo « di transizione » è veramente inadatto. Si è visto che nel sec. XIII nell'arte bizantina ci furono più correnti aventi ideali estetici molto diversi. Uno stile fortemente conservativo, continuazione del vecchio linearismo dell'epoca dei Comneni, persisteva tenacemente in Macedonia: le tappe di questo corso sono segnate sugli affreschi di Kurbinovo (1191) e di Manastir (1271). A questa pittura soltanto, si potrebbe attribuire il nome di « stile di transizione ». In essa si mantennero le formule del XII sec. senza notevoli mutamenti; ma anche questi affreschi, in Macedonia, acquistarono una caratteristica peculiare: forme più salde, più robuste, espressione plastica più accentuata e fisionomie vivissime, plebee. Sporadici riflessi di questa antica arte si sono conservati nelle zone superiori degli affreschi a Sopocani, in una pittura che, del resto, era di carattere ben diverso.
Il gruppo più imponente della pittura monumentale bizantina del XIII sec. si è conservato sul territorio dell'antica Rascia. Sono affreschi su sfondo d'oro e giallo: nella parte superiore dell'abside nella Chiesa della Vergine a Studenica (della fine del sec. XII), nella Chiesa dell'Ascensione a Mileseva (verso il 1235), nella cappella di S. Elia a Moraca (del 1252), nella Chiesa della SS. Trinità a Sopocani (verso il 1264) e parzialmente nella Chiesa dell'Annunciazione a Gradac (intorno al 1270).
Lo stile di questo gruppo di monumenti si stacca molto chiaramente, è una pittura monumentale dalle forme antiche, dal disegno nobile, ampio, dai colori chiari, una pittura che si ricollega così spontaneamente e saldamente agli ideali estetici della pittura ellenistica, tanto da uscire quasi dall'ambito dell'arte medievale. Questo stile non si è « sviluppato » dalla pittura sminuzzata, calligrafica e decorativa dei pittori dell'epoca dei Comneni. I « togati » dalle forme atletiche e dal nobile aspetto, in piedi davanti alle massicce forme di antiche facciate, non assomigliano affatto al tipo dell'uomo bizantino. Il robusto S. Pietro dalla folta capigliatura d'un grigio azzurrino ricorda piuttosto le più antiche iconi del Sinai, del VI secolo, che non l'arte bizantina del sec. XI e XII. Questo audace ritorno « ad fontes » dell'arte bizantina potè venir realizzato soltanto per opera di una élite intellettuale, di un circolo ristretto di persone colte, che possedevano una non comune cultura artistica. Negli ultimi anni si torna a pensare che questa resurrezione, quasi miracolosa, della pittura ellenistica ebbe origine a Nicea, nell'ambiente di quegli appassionati ammiratori dell'antichità, che si radunavano intorno all'imperatore Teodoro II Lascaris. Già la Andreieva — del-l'Istituto Kondakov di Praga — per prima ci diede una visione abbastanza esauriente delle ambizioni intellettuali della corte di Nicea; recentemente lo Hunger ci ha dimostrato in maniera persuasiva e con argomenti ben definiti, come fu nel campo della letteratura, quest'ultima fase della « rinascita permanente » bizantina. Cf. I legami fra Serbia e Nicea, specialmente al principio del sec. XIII, son ben noti.
Purtroppo, l'arte di Nicea del primo XIII sec. non è rirriasta, sicché l'ipotesi di Nicea quale centro del « neoellenismo » trova uniche testimonianze nel materiale che è conservato, in maggior parte, nelle chiese serbe. In questo paradosso c'è, però, della logica: lo stile degli affreschi a Mileseva, a Moraca, e a Sopocani ha origine, senza dubbio, nei modelli della tarda antichità e dell'antichità — e ciò indirettamente — attraverso qualche centro che disponeva di un tesoro di vecchi modelli e aveva dei maestri che se ne sapevano servire con la massima facilità e libertà. Recentemente A. Xyngopoulos ha richiamato l'attenzione sulla somiglianza della affreschi del XIII sec. nella Basilica « Aheiropoietu » a Salonicco, con gli affreschi a Mileseva. Cf. Si possono indicare somighanze più grandi fra Mileseva e questi affreschi di Salonicco, i quali non furono osservati dallo Xyngopoulos, non essendo gli affreschi di Mileseva ancor tutti pubblicati — ma esiste però, in questi confronti, un fatto che non si può non notare: gli affreschi della Chiesa « Aheiropoietu » a Salonicco hanno somiglianzà con le pitture di Mileseva, però sono anche di qualità molto inferiore; i maestri di Salonicco al confronto coi maestri dei re serbi danno l'impressione di provinciali.
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Chiesa dell'Ascensione a Mileseva, 1235

Nell'ambiente serbo l'alto stile di Sopocani era stato raggiunto attraverso gli affreschi di Mileseva e di Moraca, esso non appare improvvisamente e possiede dei tratti suoi particolari, che hanno raggiunto la loro piena espressione nella giovane società serba, già istruita, ma per eccellenza guerriera. Quanto la pittura dei maestri di Sopocani corrispondesse alla mentalità dei Serbi del XIII sec. si intende benissimo dai brani, già notati, della letteratura serba di quel tempo, dove con parole si glorifica la stessa bellezza, chiara e serena, che si è conservata sui muri del mausoleo del « grande re » Uros I.
Le erudite fantasticherie sulla grandezza degli antichi Greci ispirò ì Bizantini a far rivivere l'arte del lontano passato. Al principio del sec. XIII anche la nobiltà dell'Occidente si trasportava nei tempi e riviveva le bellezze della guerra di Troia, ed i Crociati, dando l'assalto a Costantinopoli, si confrontano coi Troiani che saldano il debito agli astuti Greci. Cf.
Anche alla corte del re serbo, verso la metà del XIII sec, conforme alle idee del tempo, l’élite colta rivive la sua « epoca greca », la propria variante dell'antichità, dalla quale nasce l'arte di Sopocani.
Strane sono le coincidenze e le somiglianze nella letteratura e nell'arte dell'Europa in quel tempo. Gli stessi concetti sulla luce nell'arte dell'Oriente ed in quella dell'Occidente vengono descritti con quasi identiche parole. Domentian, antico scrittore serbo, descrivendo la magnifica luce sovrumana spiega che quella non assomiglia a questa « che assieme con le bestie vediamo... » Cf. servendosi di un confronto quasi identico a quello che usò S. Francesco d'Assisi in una spiegazione simile, dando un'antitesi più violenta: « che assieme con le mosche vediamo... ». L'unità degli ideali estetici nell'Europa del XIII secolo era fortemente penetrata da una specie di invadente, assoluta volontà. La grandiosa Assunzione a Sopocani, quantunque espressa col linguaggio plastico della pittura ellenistica, è nello stesso tempo l'incarnazione della definizione scolastica della bellezza « magnitudo et numerus, color et lux » Cf. Lo stile classico del XIII sec. che ha trovato la sua espressione più felice a Sopocani, possedeva quella accuratezza formale di un'arte laica. Accanto allo stile classico, esistevano nel sec. XIII anche numerose varianti di quella pittura che di solito viene chiamata col nome comune di « pittura monacale ».
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Sopocani: La morte della Vergine: particolare (verso il 1264)


Nella pittura murale serba del XIII sec. tutti quegli affreschi su sfondo azzurro, che non appartengono allo « stile aulico », vengon tuttora raggruppati, seguendo un criterio non ben definito, nella « scuola monastica ». La pittura squisitamente « azzurra » a Studenica — nella Chiesa della Vergine — che porta la data precisa 1209, si stacca nettamente dalla pittura di Kurbinovo, anteriore di poco meno di due decenni. Gli affreschi di Studenica, dai contorni severi modellati dolcemente, dai movimenti pacati, dai colori discreti, dal disegno netto, piuttosto teso a tratti, rappresentano evidentemente un'energica reazione allo stile della tarda epoca dei Comneni, in cui le forme, piene di plasticità, si intrecciano nella fitta rete di una rigogliosa ornamentazione lineare.
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Chiesa della Madonna a Studenica, 1209

Gli affreschi di Studenica — i primi nella pittura serba che avessero le scritte in lingua serba — rimangono del tutto soli. Gli affreschi « azzurri » a Mileseva, dipinti circa 25 anni più tardi (nel vecchio nartece), si trovano pure misteriosamente isolati; di origine poco chiara e senza seguaci, questi maestri di Mileseva si saranno forse istruiti sul monte Athos o in qualche altro centro monastico, forse in Costantinopoli stessa.
Verso il 1250 nell'arte monumentale serba appaiono affreschi di aspetto molto severo, quasi ascetico, con evidenti reminiscenze della pittura monumentale della tarda antichità. I più begli affreschi di questo stile si sono conservati nella parte orientale della Chiesa dei SS. Apostoli a Pec. Si potrebbe forse presupporre che quest'arte fosse o una fase precedente dello stile classico, che più tardi si sarebbe affermato, o una variante, un po' più religiosa, dello stile classico nel movimento generale per il rinnovamento dell'antichità.
Nell'ambito della pittura veneziana, questa fase fu dal Demus individuata e ricostruita con molto spirito, attenendosi solo al materiale veneziano. Però gli affreschi nella Chiesa dei SS. Apostoli a Pec, già menzionati, che da poco tempo sono stati nuovamente ripuliti, dimostrano che la pittura monumentale del XIII sec, ispirata ai modelli della tarda antichità, occupava una regione ben più vasta.
Nettamente divise, due concezioni della pittura, quasi contemporaneamente fluiscono attraverso i primi tre quarti del sec. XIII in Macedonia ed in Serbia. Tutte le tappe dell'inizio, del fiorire e del declino di questa ben definita arte classica si possono seguire sui muri di quelle importanti chiese, appartenenti a monasteri serbi, che venivano costruite quali mausolei dei regnanti e delle loro consorti. Dall'altro lato restano i monumenti delle pitture di quello stesso tempo che, per i loro soggetti e l'aspetto generale che è ascetico, vanno a far parte dello svariato gruppo dei maestri « monacali ». La mancanza di nesso in questo gruppo di monumenti non diminuisce in nessun caso il loro valore storico ed artistico; son tutti riflessi di tendenze molto significative nella pittura bizantina del XIII secolo, tendenze che nello stato della dinastia dei Nemanjic non hanno raggiunto la loro piena espressione; probabilmente perché la corte, col suo gruppo di pittori, dettava il tono nella vita artistica della vecchia Rascia.

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Grazie al grande numero di monumenti del XII al XV sec. sul territorio dei Balcani, si è offerta la possibilità agli studiosi — veramente appena negli ultimi anni — di seguire certe manifestazioni, in netta contraddizione coi soliti pregiudizi sull'arte bizantina. Si immaginava, e ancora spesso si ripete, che il corso di vita della pittura bizantina si fosse svolto senza sensibili scosse e che i mutamenti degli stili fossero successi durante lunghi « passaggi di transizione », lunghi anche mezzo secolo, oppure un secolo intero. L'apparizione dei monumenti con una data precisa, cronologicamente molto vicini, ma diversi assai di stile, dimostra che nella vita della pittura bizantina erano successi spesso dei cambiamenti repentini.
Gli affreschi a Kurbinovo e a Studenica, quasi contemporanei, danno ben chiara visione di quali fossero le strutture di stili, opposte per i loro principi, le quali si potevano trovare in contrasto nel così breve periodo di 18 anni. Un simile mutamento repentino nell'arte bizantina avvenne negli anni fra il 1270 ed il 1290, non si sa con precisione quando. Qui i particolari sono espressi con maggior evidenza, perché si sono conservate opere di carattere del tutto opposto quali frutto di un mutamento violento in seno a quest'arte. Il contrasto fra Sopocani (attorno il 1264) e la Vergine Peribleptos a Ocrida (1295) fu costruito su antitesi definite: gli affreschi a Ocrida, opere dei maestri Michele ed Eutychios, ormai noti per nome, rappresentano una voluta opposizione agli ideali estetici degli anonimi di Sopocani. Se lo stile più vecchio si basava tutto sull'armonia, il nuovo si fonda tutto su contrasti; se i maestri più vecchi profondono nelle proprie pitture una ricchezza di colori, i nuovi pittori danno risalto al valore statuario della figura umana nello spazio. Il carattere dominante degli affreschi di Sopocani si manifesta nel ritmo moderato e nella nobiltà del gesto e della fisionomia: alla Peribleptos il nostro sguardo non può sottrarsi all'invadenza dei gesti esagerati, di quei volti accigliati e solcati da rughe; gli abitanti dell'Olimpo cristiano ci appaiono quali violenti giganti, cupi, travagliati da un temperamento indomito.
La pittura della Peribleptos di Ocrida trova le sue più vicine parallele in Serbia: nella parte occidentale della Chiesa dei SS. Apostoli a Pec (intorno al 1290-1300) ed a Arilje (del 1296). Gli affreschi di Pec del tardo XIII sec. sono molto affini alla pittura di Peribleptos e potrebbero essere opere di maestri macedoni (probabilmente di Ocrida?). Gli affreschi di Arilje furono eseguiti dalla mano di maestri di Salonicco, molto molto mediocri.
Sorti proprio alle soglie del 1300, gli imponenti gruppi delle chiese citate, dimostrano un'unità di stile veramente impressionante. Questa pittura sgradevole, invadente, teatrale, prolissa e freddamente costruita possiede un pregio: l'originalità del suo programma, ben definito.
Attorno al 1300 tanto la parte orientale, che la parte occidentale dell'arte europea, manifestavano tendenze simili tra loro: una certa ambizione di avvicinarsi alla realtà della vita. Non solo si scelgono argomenti più realistici, ma l'elaborazione stessa della pittura si fa sempre più vicina all'uomo-modello, alla natura, all'architettura. A Ocrida ed a Pec appaiono i primi grandi cicli della Passione di Cristo, con tutti i particolari conosciuti in precedenza nelle miniature. A Ocrida l'intimità con la vita si fa particolarmente ricca: in due zone sono raccontate due storie: quella superiore rappresenta il dramma della Passione di Cristo, quella inferiore la sentimentale storia della Natività della Vergine, la sua infanzia ed adolescenza.
Il legame tra questa nuova pittura e lo stile classico della metà del sec. XIII è evidentissimo. Tanto la vecchia che la nuova gènerazione desidera mantenere l'ambiente dell'antico passato; l'apostolo Paolo di Sopocani e Peribleptos fu dipinto secondo lo stesso cartone, ma appunto su queste rassomiglianze esteriori si possono scoprire le essenziali divergenze tra la pittura vecchia e quella nuova. La nuova pittura dai colori smorzati e dalla luce affievolita, si direbbe tendesse a creare un'illusione più convincente del mondo reale, attraverso il grigiore della vita quotidiana. C'è qualcosa di comune fra la pittura di Mihajlo e Eutihije e le prime pitture di Giotto: la stessa sobria tavolozza, la stessa moderatezza nel disegno, la stessa timida penetrazione nei segreti dell'imitare la natura ricorrendo ai particolari ed a cose di importanza secondaria: qualche volto, qualche albero, qualche roccia in composizioni che sono ancora chiuse dalla rigida struttura delle soluzioni tradizionali.
Queste rassomiglianze così evidenti non si possono spiegare con precisione, né con obiettività. La più erudita analisi dei prestiti iconografici fra l'Italia e Bisanzio ci è stata lasciata da Gabr. Millet, nella sua insigne opera: Récherches sur l'iconographie de l'Evangile. Purtroppo molte affermazioni del più insigne fra gli esperti dell'analisi iconografica nel campo dell'arte bizantina sono state smentite dalle recenti scoperte. È stato dimostrato che la base stessa della teoria sulle influenze era troppo ristretta per poter permettere una completa visione dei problemi più complessi. L'unilateralità degli studi precedenti in questo campo è stata superata dal Millet, nella sua relazione, riccamente documentata, al V Congresso Internazionale di Studi bizantini, nel 1936 a Roma; in quell'occasione, nello studio sui rapporti fra l'arte italiana e quella balcanica nel sec. XIII, il Millet, ricorrendo anche all'autorità di Pietro Toesca, molto si impegnò a dimostrare quanto il nuovo senso del dramma nella pittura italiana del XIII sec. fosse di origine bizantina.
Bisogna riconoscere, però, che in questa polemica sul primato sia rimasto un grave malinteso. Nel valutare la concezione del realismo in Italia e quella bizantina troppo fu usata la stessa misura.
Nella pittura monumentale bizantina, indipendentemente dagli influssi italiani, verso gli anni 1290-1295, penetra un'ondata di « realismo » che si atteneva alle prime miniature. Questo realismo tende verso forme plastiche fortemente accentuate e verso uno spazio più profondo, più scuro. Che la composizione di questi dipinti sia chiusa in se stessa, è maggiormente sentito nelle scene che prima erano frontali e simmetriche. Già nel 1295 a Ocrida appaiono particolari realistici: figure umane prese di spalle; una concezione della composizione più coerente a questa si manifesta a Pec (intorno il 1290-1300) ed a San Niceta, presso Skoplje (verso il 1307). È particolarmente caratteristica, per questo, la scena della disputa degli Ebrei (MARCO 14, 53 sgg.) a Pec: in mezzo è posto il tavolo con penne e calamaio e libri aperti e intorno sono i « grammatici » che discutono, ritratti di spalle, di profilo, dai gesti violenti. L'imberbe Pilato, in qualità di « giudice romano », con la cuffia bianca — nella stessa chiesa — porta imperiosamente il nostro pensiero agli « iudices » latini, giudici dei Ragusei colonizzati nelle città commerciali dei re serb
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Peć : Ss. Apostoli, Gesù davanti a Pilato (verso la fine del sec XIII)

Il realismo di questa specie si riduce tutto a due elementi: al rapporto realistico della figura rispetto allo spazio, alla mobilia e alle strutture architettoniche, elemento preso, indirettamente, dalla miniatura della tarda arte antica, ed al particolare, pieno di freschezza, preso dalla vita di quel tempo, che si limita a qualche dettaglio delle vesti, delle armi, del vasellame, dei gioielli e simili.
Del resto, questa pittura, dapprincipio, era appesantita da eccessiva erudiziene antiquaria, da architetture che rievocavano l'antichità, da rilievi, da audaci plagi di figure antiche, abilmente introdotte in scene religiose; con quanta libertà i maestri di questa generazione utilizzassero gli esemplari antichi ne è prova drastica un dettaglio tratto dal libro di campioni (Musterbuch) di Wolfenbüttel (cui si assegna la data della I metà del sec. XIII, ma è evidente che sia di un'epoca più tarda): il disegno dell'Apostolo, mollemente sdraiato nell' « Orazione nell'orto di Gethsemani », è stato eseguito secondo una delle ben conosciute varianti dell'ermafrodito giacente dell'antica pittura ellenistica. Cf.
Il gioco dei confronti e delle personificazioni in questa arte di forme prettamente classicheggianti, spesso dava alle scene una certa risonanza letteraria, meticolosamente pretenziosa; i maestri, dominati dal desiderio di attenersi il più possibile alla parola del testo, non poterono mantenersi a lungo neanche su queste posizioni d'un realismo moderato. In Oriente il « ritorno alla natura » fu in effetti un ritorno ai modelli dell'arte più antica, che aveva più forti le gami con la natura. Le soluzioni realistiche nell'arte bizantina del tardo sec. XIII spianarono alquanto la via verso il realismo ai grandi maestri italiani, cominciando dal Cavallini. In Italia questo realismo, parzialmente imitato, rappresentò una tappa sulla via verso la completa rottura con le tradizioni medievali, in Oriente questa fu una fase piuttosto breve, passeggiera, una fase di tendenze realistiche che più tardi si fusero in altre correnti.
La pittura della stessa generazione dei maestri di Ocrida, Arilje e Pec, del 1295 circa, ancora appesantita dai grandi formati dello stile monumentale che l'aveva preceduta, verso il 1300 va raffinandosi, le figure sono sempre più piccole, i movimenti più morbidi, le composizioni sempre più complesse. I colori acquistano più vivacità, ma occupano tuttora un posto secondario; la pittura non ne è penetrata, essi servono quale mezzo per raggiungere un effetto decorativo, per mettere in risalto l'importanza delle figure, rendono la scena più pittoresca, più fantastica l'architettura. Il colore mette in luce l'essenza statuaria e spaziale del dipinto solo in funzione di ornamento e di accento.
Dal 1300 al 1321 sul territorio della Serbia medievale compaiono le più belle opere dello stile di Costantinopoli : i rigogliosi affreschi a S. Niceta, le vive illustrazioni a Staro Nagoricino, gli affreschi di perfetta elaborazione accademica nella Chiesa del re a Studenica Cf. e a Gracanica gli affreschi, già alquanto romantici, dai movimenti agitati e con i primi tratti più evidenti d'un esotismo orientale.
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Staro Nagoricino

Questa pittura originaria di Costantinopoli, organizzata con chiarezza nei temi e nello stile, ha i suoi rappresentanti, nelle regioni della Serbia e della Macedonia, nei maestri conosciuti anche nome: Astrapas, Michele, Eutychios, Giovanni.
Benché questi pittori non abbiano una personalità artistica così indipendente come la hanno i loro contemporanei in Italia, essi desiderano raggiungere una certa notorietà e approvazione. Ai maestri vengon dati lusinghieri soprannomi: Astrapas, omonimo di Folgore di San Giminiano, Panselenos, Kaliergis, che di se stesso dice essere « holes Thettalias aristos zògraphos », tutti nomi altisonanti, che ben differiscono dai nomi dei loro predecessori, adombrati da epiteti umilianti quali: « peccatore », «umilissimo », « ultimo »... Cf.
In Oriente, nel XIV secolo la pittura diviene —in una certa misura — « ars docta », eppure quest'erudizione non porta in sé degli elementi precisi come in Occidente: proporzioni calcolate secondo la natura, una anatomia esatta e una prospettiva costruita chiaramente. Le somighanze con la natura nell'arte bizantina nel primo XIV sec. sono rimaste soggette a una definita formulazione estetica. La natura era apprezzata quale fonte dell'arte, ma non modello supremo. A Lesnovo, negli affreschi del 1346 circa, San Giovanni Crisostomo sta scrivendo su un rotolo l'insegnamento ai pittori che gli stanno davanti : « pittori, imitate la natura che crea con arte e temperatela... ». Effettivamente, tutto il quasi-realismo della rinascenza dei Paleologi non è che una ricostruzione, bene ideata, delle vetuste interpretaziuni artistiche del mondo della realtà. Quando i pittori di Gracanica desiderano ambientare gli avvenimenti che precedono la resurrezione di Lazzaro e la resurrezione stessa, in uno sfondo di paesaggio « reale », essi si servono semplicemente degli scenari dell'antica pittura ellenistica. Basti fare un raffronto tra l'affresco della resurrezione di Lazzaro di Gracanica con un affresco pompeiano, raffigurante Dionisio col seguito, al cospetto di Arianna, per notare il saldo legame che corre tra la rinascenza dei Paleologi ed i modelli ellenistici che, probabilmente, come « interpretationes christianae » venivano trasmessi all'arte del XIV sec. attraverso la miniatura bizantina più antica.
Per la conoscenza di dati scientifici nei campi dell'ottica, dell'anatomia, della geometria i maestri bizantini restano molto inferiori ai loro contemporanei in Occidente.
Mentre nell'Occidente crolla definitivamente il sistema dell'estetica medievale e sboccia una nuova arte, che è, nel sec. XIV ancora molto timida e ìmpacciata, la pittura bizantina rimane irremovibile sulle proprie posizioni, attenendosi alle esperienze estetiche degli antichi. Così l'arte bizantina del principio del sec. XIV, in confronto con la pittura italiana contemporanea, rivela una strana duplicità: da una parte una esperienza nelle soluzioni estetiche e, dall'altra, una costante mancanza di interesse per la realtà dell'ambiente, che ha l'apparenza di una ingenuità. È spesso ripetuto il pensiero che questo scarso contatto con il mondo della realtà sia stato fatale alla pittura bizantina, che, in questo modo, trovandosi staccata dalla natura, abbia degenerato fed infine si sia spenta del tutto.
A sfatare questo pregiudizio ci appaiono i mosaici e gli affreschi del primo XIV sec. in Turchia ed in Grecia e gli affreschi in Macedonia ed in Serbia. Limitandomi in quest'occasione ai monumenti della Jugoslavia, desidererei dare solo alcuni esempi della ricca galleria di affreschi, esempi che rivelano tutta la complessità e la varietà di un'arte, accusata spesso di monotonia e semplicismo.
Il nobile classicismo della « Chiesa del re » a Studenica è tutto concentrato sui problemi della composizione nello spazio. Lo scenario di un'architettura complessa, distribuito su piani gradatamente elevati, penetra nella profondità d'un azzurro cupo, si spinge in giardini nascosti da muri di cinta, giardini che si indovinano soltanto dalle cime dei cipressi. In un siffatto scenario, piuttosto teatrale, sono bilanciati abilmente i gruppi di figure, accuratamente dipinte. La prospettiva, che in questi dipinti dovrebbe dare l'illusione dello spazio, non si attiene alle leggi della natura, è al contrario costruita, tutte le linee prospettiche del disegno si congiungono sul punto in cui è raffigurato il protagonista della scena; questa prospettiva inversa, in realtà eccessivamente antropocentrica, così arbitrariamente ideata, raggiunge a Studenica un grande effetto nel senso estetico.
Come tutti i classicismi dell'Evo antico e dell'Evo moderno, anche il classicismo nelle chiese serbe e macedoni dell'inizio del secolo' XIV si ispirò spesso alla letteratura.
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Gracanica

Specialmente preferita è la personificazione del Sole, della Luna, dei segni dello zodiaco, del giorno e della notte, della Terra e dell'Oceano, del Giordano e di varie idee astratte: della Saggezza, dell'Antico Testamento, del Nuovo Testamento, ecc. Accanto a testi di prosa, spesso vanno illustrati i versi: l'Inno di Natale, l'Inno dell'Assunzione, l'Inno della Vergine (cosiddetto Akatistos), i salmi, persine i mesti canti funebri in tutto il loro estenuante ritmo delle enumerazioni e reiterazioni.
Sebbene il classicismo di Costantinopoli si propagasse nei Balcani quale stile ben definito, fisso nella forma e nella tematica, in Macedonia e in Serbia esso acquistò propri tratti originali, fortemente espressi.
Gli affreschi recentemente scoperti e ripuliti a Bijelo Polje (nella Chiesa di S. Pietro) rappresentano una nobilissima variante del classicismo dell'inizio del sec. XIV, in cui i maestri serbi riuscirono a fondere armoniosamente la forma, curata secondo le esi-genze del classicismo, con colori freschi, quasi eterei, tenui e chiari: il rosa, il rosso vivo ed il giallo. Questa pittura, ricca di particolari e di curiose innovazioni iconografiche è eseguita a rapidi e leggeri tratti di pennello, con passaggi abilmente introdotti in tecnica grisaille. Il fantastico viaggio degli Apostoli sulle nubi, nell'affresco dell'Assunzione della Vergine e gli Angeli che assistono alla Trasfigurazione, dipinti rapidamente in monocromia, in tonalità grigio azzurra, dimostrano quanto il maestro fosse esperto e padrone nella sua arte, da saper sfruttare anche l'effetto del « non finito ».
L'ambiente della bellezza antica nella pittura serba dell'inizio del sec. XIV fu ricostruito accuratamente con elementi sicuri, scelti, di origine classica. I volti, i drappeggi, la sfarzosa architettura con colonne di marmo sormontate da fastosi capitelli, danno alla composizione, abilmente costruita, un aspetto antico. Tuttavia questa antica bellezza ricostruita è priva degli essenziali caratteri della pittura antica. Nelle scene dipinte si avverte un certo contrasto interno: personaggi dal temperamento ardente e avvenimenti pieni di drammaticità sono rappresentati o troppo freddamente o con troppa noncuranza. L'arte dei primi anni del sec. XIV, ponderata e provata, a Bisanzio e nei Balcani non possedeva molti maestri che si distinguessero per vigore e temperamento. Una forza un po' più creativa appare, ma piuttosto raramente, fra i pittori dei codici miniati; ingegni pittorici più veementi spiccano piuttosto negli affreschi che furono dipinti sotto l'influenza diretta della miniatura.
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Prizren, Chiesa della Vergine Ljeviska

Soltanto grandi artisti, in casi eccezionali, artisti quali furono Astrapas, nella Chiesa della Vergine Ljeviska a Prizren (intorno al 1309), riescono ad affrancarsi dalla morsa del classicismo e, ricorrendo (alla vecchia maniera) alle forme più robuste e ai colori più carichi del sec. XIII, creano un loro stile particolare, forte ed unico.
Sfidando l'andazzo del tempo, Astrapas, con molto ardore illuminò le sue grandi figure, nella navata della Cattedrale di Prizren, con un bengala di colori. Ma già nel nartece della stessa Astrapas, si dissolve e si perde nel microcosmo della speculazione teologica, della morale e dell'erudiziene ostentata. Cf.
Aspirando agli effetti che produce il nuovo e l'insolito, i maestri del re Milutin a Gracanica creano, intorno al 1321, repentine inversioni di formule iconografìche, che per secoli si ripetevano nello stesso modo. Il dipinto « Le Donne al sepolcro » a Gracanica confrontato col dipinto che tratta lo stesso soggetto nella Maestà di Duccio (1311), determina chiaramente il carattere del classicismo bizantino ed il suo rapporto con quella pitttura italiana che era più vicina a Bisanzio
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Gračanica, Le Marie al sepolcro (1321)

Le Donne di Duccio e l'affresco serbo, eseguito dieci anni più tardi, rappresentano lo stesso avvenimento in due modi del tutto opposti: la composizione di Duccio è calma, chiara, lapidaria, tutta penetrata dalla logica e dalla riservatezza.
Il maestro serbo cerca di non lasciarsi sfuggire nessun particolare; davanti al sarcofago sono coricati i soldati, nel sarcofago è visibile solo quanto dice S. Giovanni Evangelista: « e vide i pannolini per terra e il sudano che era stato sul capo di lui, non per terra coi pannolini, ma ripiegato in luogo a parte... » (GIOVANNI 20, 6-7), e sul sarcofago « due Angeli in bianche vesti, seduti l'uno al capo, l'altro ai piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù... » (GIOVANNI 20, 12), è descritto con precisione il paesaggio roccioso col bosco all'orizzonte e la stretta valle in cui si trovavano le donne. Mentre Duccio fa risaltare le donne e l'Angelo, portandole in primo piano e lascia nello sfondo il paesaggio sassoso, il maestro serbo invece, costruisce la composizione delle figure nello spazio, disponendo le persone intorno al sarcofago, cercando di dar loro positure quanto più vane e animate; la figura centrale, l'Angelo che volta le spalle alle donne, ha i movimenti volutamente studiati, le sue ali, come un'elica, penetrano arditamente volteggiando in primo piano e nello sfondo, il suo volto, preso di pieno profilo, è voltato bruscamente a destra, la mano sinistra, con l'indice teso, mostra a sinistra; questro strano Angelo che tiene lo scettro alto, sta nel mezzo come una rosa dei venti, dando a tutta la scena spazio e ritmo. I contrasti violenti delle verticali e delle orizzontali, delle luci e delle ombre, dei movimenti e della quiete apportano al classicismo di Gracanica una certa romantica drammaticità.
Il periodo di questo complesso classicismo di Costantinopoli nella Serbia medievale durò, nel suo pieno rigoglio, i primi due decenni del sec. XIV. Dopo la morte del re Milutin, avvenuta nel 1321, sopraggiunse un mutamento.
Tendenze molto evidenti verso l'esotico ed il fantastico spiccano negli affreschi di Lesnovo. Senza ambizioni di esibirsi in eleganti raffigurazioni di atteggiamenti e movenze complicate, i maestri di Lesnovo, visibilmente ben impregnati della tradizione della pittura autoctona macedone, creano un loro stile proprio, ingenuo, ricco di colori e sovraccarico di dettagli; questa pittura prettamente provinciale per il suo aspetto, porta in sé una propria aspra forza che, nonostante tutte le manchevolezze e la goffaggine, si impone per la sua autentica freschezza.
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Lesnovo

Una particolare variante del classicismo, dai colori scuri, intensi, dalle forme longilinee e dure, fu creata dal maestro Giovanni, nella Chiesa di S. Demetrio a Pec . Fu egli un artista di alto ingegno. Egli diede all'elegante pittura di Costantinopoli un carattere più austero, quasi ascetico.
Le nuove guerre che scoppiarono fra la Serbia e Bisanzio, ebbero effetto decisivo sullo sviluppo dell'arte in tutte le regioni nel' l'interno della Balcania. Il conflitto fra Bisanzio e la Serbia si inasprì specialmente dopo che Dusan fu incoronato imperatore, nel 1346 e dopo l'istituzione del Patriarcato serbo. Negli anni che corrono tra il 1331 al 1355 le terre che erano sotto la dominazione di Dusan non mantennero contatti artistici di qualche rilievo con Costantinopoli. Nelle regioni meridionali del nuovo Impero serbo ebbero forte sviluppo scuole pittoriche locali; maestri dalle minori città macedoni, liberatisi dalla concorrenza di Bisanzio, arrivano a mettersi sempre più in risalto. Fino a quale invidiabile altezza siano arrivate alcune di quelle scuole, ce lo dimostra il gruppo di pittori del metropolita Giovanni, pittore e prelato, che fu anche artista di ingegno. Gli affreschi e le iconi, opera di Giovanni e dei suoi scolari, si sono conservate nei dintorni di Skoplje, di Prilep e, a Nord, nel monastero di Ljubostinja. Il conflitto con Costantinopoli influì anche sullo sviluppo dell'arte nelle regioni centrali ed in quelle sud-occidentali dello Stato serbo medievale. Le influenze del litorale adriatico non si fecero molto sentire nella pittura serba medievale dei primi 25 anni del sec. XIV. Singoli oggetti artistici acquistati, provenienti dalle botteghe veneziane, arrivarono persino a Hilandar, il principale monastero serbo sul monte Athos, ma queste opere, rarissime del resto, furono considerate piuttosto un oggetto prezioso che un modello artistico. Cf.
Una forte penetrazione di influssi provenienti dal Sud-Ovest, ebbe inizio nell'arte serba verso il 1330. Allora, precisamente nel 1327, vennero in Serbia architetti « dalla città reale » di Cattaro, per costruire la chiesa del monastero di Decani, il maggiore monumento ancora conservato, della antica architettura serba. Sempre da Cattaro, attorno al 1350, giunsero a Decani i pittori che crearono la più grande composizione della antica pittura serba. È una ìmmensa galleria di affreschi, presentata sistematicamente in 20 cicli, tuttora ben conservata.
Indipendentemente dallo sviluppo in Serbia, i comuni delle città sulla costa orientale dell'Adriatico, nel corso del sec. XIV ebbero un rapido sviluppo. Vi cominciarono a fiorire anche le arti, particolarmente la pittura. Cf. In quell'ambiente internazionale in cui si incontravano maestri slavi, italiani, greci, tedeschi, ungheresi ed albanesi, si formarono principalmente due correnti: la corrente occidentale che tendeva a seguire i modelli veneziani e la corrente « greca » che attingeva agli esemplari bizantini. Cf. A giudicar dagli affreschi di Decani, per i quali è risaputo, dai dati d'archivio, siano stati dipinti da maestri di Cattaro, si può affermare che i « pictores graeci » abbiano avuto sul litorale adriatico, botteghe ben organizzate.
L'aspetto generale della pittura medievale in Dalmazia e nel litorale del Montenegro doveva esser stato molto più « greco ». Se ne può trovare conferma nei verbali delle visite canoniche delle parrocchie cattoliche, nei quali, spesso, nelle descrizioni delle chiese, viene ripetuta la frase: « tota depicta picturis graecis... ». Sotto l'ondata delle idee tridentine, questo strato della pittura sul litorale quasi sparì e oggi se ne possono ritrovare solo modesti frammenti.
Quale maggiore monumento dell'arte pittorica di questa scuola « greca » sulla costa adriatica, si sono mantenuti gli affreschi a Decani . Affrescata fra il 1335 ed il 1345 circa, la chiesa di Decani non rappresenta un insieme omogeneo né per lo stile, né per la qualità. Molte volte si ha l'impressione che i maestri pittori, radunati a Decani per eseguire un lavoro comune, siano stati istruiti in diverse botteghe. Tutti dipingono nello « stile dell'epoca », tutti dipendono molto dagli esemplari di Costantinopoli dell'inizio del sec. XIV, ma nello stesso tempo si staccano dai problemi essenziali del classicisme; tendendo al monumentale e al decorativo, si servono di forme massicce e di vividi colori; volendo raggiungere un effetto maggiore, essi pongono le figure in primo piano. Si avverte spesso che per alcuni dei maestri di Decani lo stile bizantino è una pittura appresa e non sentita; essi guardano il mondo attra' verso il prisma dell'arte bizantina, ma quando dipingono qualche cosa che è loro molto vicina, essi abbandonano l'esemplare e dipingono i frammenti che li tradiscono.
Sergio « il peccatore », maestro che dipingeva a Decani il ciclo dei miracoli di S. Demetrio, non si stacca dalla stilizzazione bizantina delle forme, eppure, dipingendo Salonicco, egli la raffigura come una città mediterranea, cinta da forti mura, con la cattedrale di forma basilicale, col battistero rotondo, col palazzo comunale munito da una torre massiccia e con la piazza su cui sta eretta la colonna infame.
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Decani : l ciclo dei miracoli di S. Demetrio

La viva attività edilizia nel giovane Impero serbo dava certamente molte possibilità di guadagno ai pittori di affreschi, venuti dal litorale; forse questa congiuntura, per l'eliminazione della concorrenza dall'Oriente, fu di breve durata, eppure non si dovrebbe assolutamente sottovalutare questa penetrazione degli artisti di Durazzo, Cattaro e Ragusa. La variante occidentale della pittura bizantina, proveniente dalla costa adriatica, apportò — temporaneamente — nell'organismo di una pittura squisitamente nobile ed esteticamente raffinata, qual'era stata quella serba, certi tratti di soluzioni artigiane. È difficile che gli affreschi di Decani, visti singolarmente, impressionino; i pur bravi maestri spesso si perdono in un mare di mediocrità; ma tutti insieme — nel grandioso spazio dell'architettura interna — questi affreschi fanno una impressione indimenticabile. Il sistema della de corazione pittorica di Decani è saldamente organizzato in un'armonia sicura di grandi forme e abili accordi coloristici fra le tinte: azzurro, oro, ocra, rosso e verde e, inoltre, è un sistema fermamente organizzato quale enciclopedia illustrata chiaramente presentata, il complesso di tutte le cognizioni teologiche che si potevano esprimere mediante la pittura. Per l'esecuzione degli affreschi di Decani avranno dovuto lavorare, per anni, numerosi gruppi di pittori, però l'intero loro lento lavoro era stato previsto precedentemente da un progetto. L'autore di questa opera considerevole, evidentemente persona di profonda cultura teologica e conoscitore d'arte, ha creato un'insigne opera d'arte.
La scelta, la suddivisione e la gradazione dei cicli, il loro adattamento all'architettura, la loro esposizione, simmetria e coordinamento, tutto ciò a Decani ha quasi raggiunto i limiti della perfezione.
Il tardo enciclopedismo della pittura di Decani, negli ultimi anni del governo di Dusan si infiacchì, in altre chiese, in prolisse, confuse narrazioni.
I tragici avvenimenti che seguirono la morte di Dusan, nel 1355: la sconfitta sul fiume Mariza (1371), la sconfitta sul Campo dei Merli (1389) provocarono, per un certo tempo, un caos anche nell'arte. Il particolarismo politico, dilagato dopo il 1371, disgregò l'omogeneità già intaccata della pittura nell'interno della Serbia. I maestri di provincia della Macedonia e del litorale adriatico si incrociavano nelle regioni intorno a Skoplje. Come unica scuola d'una certa forza e di ben definite tendenze si distinse il gruppo del già menzionato metropolita Giovanni. Il dotto arcaismo di Giovanni aveva un programma preciso. Uomo d'alta cultura artistica, Giovanni desidera riportare la pittura alle qualità dello stile monumentale della metà del sec. XIII. Le sue aspirazioni erano definite: dal narrativo al decorativo. Giovanni tentò di ritornare alla pittura concisa e intensa: i suoi affreschi a S. Andrea, presso Skoplje, dell'anno 1389, si impongono alla nostra ammirazione per la loro serietà. L'argomento prescelto è raccolto in due cicli: il ciclo delle grandi Feste e quello della Passione, e in due fregi composti da singole figure: nella prima zona una fila di santi in piedi, nella seconda, sopra questa, una fila di busti. Gli affreschi, lentamente dipinti, con una perfetta elaborazione tecnica, sembrano tante iconi appese al muro. Questa pittura quieta, molto ombreggiata, tutta concentrata, maturava nei tragici giorni delle sconfitte dei cristiani, nelle terre invase dai Turchi già nel gennaio del 1392.
In condizioni molto drammatiche fiorì e si spense bruscamente l'arte nelle terre del principe Lazar, di suo figlio Stefano, divenuto poi despota e del despota Djuradj Brancovic. Il lembo settentrionale dello Stato medievale serbo, minacciato continuamente dai Turchi e spesso devastato, divenne rifugio dei profughi dalle regioni meridionali della Balcania e dalla Bulgaria. Gli emigranti, monaci istruiti, letterati ed artisti, fondarono proprie colonie nella ancor sempre ricca Serbia. Nelle regioni boscose, lontano dalle strade, sorsero nuovi monasteri. Con la collaborazione dei profughi bulgari di Trnovo, riprese vita la letteratura, vennero fatte riforme dell'ortografia, si istituirono grandi scrittori per tradurre e copiare libri. In un ambiente di febbrile attività intellettuale va formandosi l'ultima grande scuola del vecchio stile serbo, lo stile di Morava (Moravski stil). Cf.
La disfatta sul fiume Mariza provocò il panico nelle regioni meridionali della Balcania. Gli antichi contrasti fra i cristiani dei Balcani cominciarono a placarsi di fronte al comune pericolo dei Turchi. Già nel 1375 fu fatta la pace fra Costantinopoli ed i Serbi il Patriarcato serbo fu riconosciuto, la scomunica dello zar Dusan fu solennemente tolta dinanzi alla sua tomba. Le terre del principe Lazar si popolarono sempre più di numerosi gruppi di monaci profughi, l'attività edilizia riprese vita specialmente lungo la valle del fiume Morava. Il principe Lazar stesso, fece costruire, nel 1375 circa, la propria chiesa mausoleo, Ravanica, costruzione che, per la sua architettura e decorazioni plastiche e pittoriche, fu considerata come modello dai successivi architetti, scultori e pittori serbi, fino alla caduta dell'indipendenza politica serba, nel 1459.
La pittura dello stile di Morava ebbe sviluppo su un terreno senza tradizioni artistiche, in una regione che non possedeva monumenti artistici di qualche rilievo. La rappacificazione tra la Chiesa serba e quella greca, avvenuta nel 1375, segnò il ritorno di Costantinopoli nella vita ecclesiastica, il che significa anche nella vita artistica. La rinascita artistica nella regione serba lungo il fiume Morava ebbe per modello fisso nuovamente l'arte di Costantinopoli dell'inizio del sec. XIV, quella pittura che tra gli anni 1300 e 1320, in Macedonia ed in Serbia era già stata in fiore. Questa novella interpretazione della rinascenza dei Paleologi nella Serbia settentrionale, si staccava visibilmente dai modelli bizantini, senza che ciò avvenisse, però, in maniera troppo evidente. Si ha l'impressione che i maestri serbi del tardo XIV sec. non abbiano neanche desiderato di separarsi dai loro vecchi maestri. Dal lato formale risulta maggiormente il mutamento dell'aspetto dell'uomo: il tipo meridionale, basso di statura e bruno è stato sostituito dal tipo dell'uomo settentnonale, slanciato, di carnagione chiara; il nuovo verticalismo si estende anche alle forme delle architetture e dei paesaggi dipinti. Nei primi venti anni del sec. XIV, la pittura di Morava conserva le robuste forme e la ornamentazione rigogliosa; a Pec ancora, nelle zone inferiori dello spazio sotto la cupola della Chiesa dei SS. Apostoli, negli affreschi sul basso transetto, gli inquieti, sfarzosi colori vi risplendono della lucentezza dello smalto così anche i colori della superficie liscia dei corpi, delle vesti, delle armi, delle suppellettili e delle architetture.
Questo stile sontuoso, che si compiace della minuziosa elaborazione dei dettagli, tende evidentemente all'effetto esteriore della decorazione, ma nel contempo, insistendo sulla ricchezza dei colori, distrugge definitivamente l'antica statuaria compattezza della figura classicistica; le reminiscenze della antichità si riducono a dettagli di effetto, a maschere che ornano l'umbo dello scudo, alla superstizione dei guerrieri antichi che, partendo per la battaglia calzavano un piede, lasciando scalzo l'altro. La struttura classicistica della pittura va perdendosi. Le soluzioni iconografiche d'una volta, in rigide composizioni geometriche, si ammorbidiscono sempre più, la violenta reciproca corrispondenza dei gesti va raffinandosi. Nella piccola, quasi minuta architettura del monastero di Kalenic, si sono conservati affreschi dei primi anni del sec. XV, che, per il loro lirismo, si distaccano fortemente dall'antica, irremovibile, solenne serietà delle pitture bizantine.
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La Guarigione del lebbroso, Kalenic. particolare, 1407-1413

Gli artisti anonimi degli affreschi di Kalenic si distinguono specialmente per la squisita maestria nei colori, il colore diviene l'essenziale mezzo espressivo della composizione; le delicate tonalità del marrone, del rosa, del verde pallido, del giallo, del turchino, dell'azzurro e del rosso vivo, danno all'insieme degli affreschi una certa tenerezza sentimentale che specialmente sboccia nei volti dei pensosi giovani e dei vecchi rassegnati. L'armonia tra la natura, l'architettura e l'uomo si fa sempre più stretta. La precedente decorazione policroma cede il posto alla nuova pittura, molto più discreta, in cui il colore acquista una funzione indubbiamente più importante; il colore non accentua le forme, esso le crea e, attraverso una spesso ineffabilmente spontanea sinfonia di toni, vi aggiunge un timbro, forse uniforme ma pieno, di dolce sensibilità. Tutte le scene a Kalenic sono impregnate dalla stessa atmosfera. Un certo entusiasmo pieno di dolcezza dei maestri, affascinati dalla bellezza dei colori, da a questa pittura l'intimo carattere della musica da camera.
La pittura delle scuola di Morava fu fortemente legata alle condizioni di vita e alla mentalità dell'alta nobiltà serba. In Serbia il governo dei despoti delle famiglie Lazarevic e Brankovic rimase legato, col suo passato, alla tradizione bizantina, nonostante tutti i gravi ostacoli, i rapporti con Costantinopoli si mantenevano con-tinuamente: con denaro serbo furono eseguite opere di riparazione su una parte delle mura di Costantinopoli; secondo progetti bizantini venne costruita Smedervo, la più grande, ultima città fortificata.
Tuttavia dobbiamo tener conto del fatto che in quello stesso tempo, i nobili serbi mantenevano stretti rapporti, commerciali e militari, con l'Occidente. Le ricchezze delle miniere serbe vanno esportate dai porti adriatici, in tutti i preparativi di guerra contro i Turchi, i Serbi si appoggiano all'Occidente, principalmente all'Ungheria. A Belgrado, residenza del despota Stefan Lazarevic, prevale l'ambiente internazionale in cui si scontrano ed incrociano Serbi, Ungheresi, Tedeschi, mercenari hussiti e mercanti ragusei. Anche l'arte serba in questo ambiente va mutandosi, pur restando prettamente ortodossa, tuttavia essa diviene laica, più precisamente: arte laica dei nobili. Il « Prunkstil » dell'Europa occidentale del principio del sec. XV, lo stile sfarzoso di un Gentile di Fabriano o delle miniature dei pittori di Jean de Berry, trovano il corrispondente nella vecchia pittura monumentale serba: gli affreschi nella chiesa del monastero fortificato di Manasija (Resava)
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Manasija (Resava)

. Pur attenendosi rigidamente alla tematica dell'arte ortodossa, i maestri del despota Stefan spesso colgono l'occasione per ammodernare qualche tema vetusto e mutano la «Comunione degli apostoli» in un solenne corteo ornato da Angeli di straordinaria bellezza, o trasformano la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro in una illustrazione d'un sontuoso banchetto.
Lo stile della scuola di Morava, assai omogeneo in tutti i rami dell'arte, penetrava con le sue forme ben definite in ogni dettaglio dell'ornamento architettonico in pietra, in ogni nastro trapunto d'oro, in ogni iniziale, eppure questa uniformità di espressione ar-tistica non degenera in monotonia. La pittura serba della prima metà del sec. XV ebbe maestri differenti per ingegno e concezione: il modesto pittore Teodor Savin di Cattaro, discepolo dei maestri del litorale, dipinge a Rudenica affreschi che si potrebbero definire variante provinciale dello stile di Morava: a Kalenic maestri anonimi, ispirati dalle pitture di Costantinopoli, cercano la propria variante lirica dello stile; mentre il gruppo di pittori di Manasija ci lascierà la variante monumentale di questa stessa pittura.
Gli affreschi a Manasija sono stati ripuliti in questi ultimi anni ed il loro valore, mi sembra, non sia stato ancora definito. Appena ora si stanno scrivendo i primi studi in cui si trattano i vecchi affreschi già noti, e quelli nuovi recentemente ripuliti e fotografati.
La pittura della scuola di Morava portava in sé la strana forza di un'arte adattabile e mobile. Allorché avvenne la catastrofe pòlitica, la caduta di Smederevo nel 1459, gli artisti dei despoti e dei nobili serbi, si spinsero verso Nord-Est. E anche allora, in queste nuove condizioni, i profughi serbi gettarono le fondamenta alla vita monastica e all'arte nella Valacchia.
Nell'anno 1459 si conclude la prima, grande e principale epoca della vecchia pittura serba. Di solito fanno terminare la storia della pittura bizantina già sei anni prima, nel 1453.
Seguendo questa logica bisognerebbe far terminare la storia dell'arte medievale in Macedonia nel 1392. Nel fissare i periodi dell'arte cristiana orientale queste date rimarranno certamente quali salde pietre miliari, ma non quali pietre sepolcrali per la vecchia arte nella Balcania cristiana. L'arte « postbizantina » rimane un fatto, per quanto giudicata severamente e secondo un criterio estetico che non bisognerebbe adottare, cioè alla stregua dell'arte dell'Europa occidentale. L'arte cristiana, perseguitata dai Turchi, conquista nel corso dei sec. XV, XVI, XVII nuove regioni, la Valacchia e la Moldavia, passa con i profughi serbi in Slavonia ed in Ungheria. Questa arte più tardi riprende a fiorire in Russia, dalla fine del sec. XIV alla fine del sec. XVII. In quest'occasione sarebbe inopportuno toccare un problema che, certamente, in altro momento desterà vaste discussioni. L'ho accennato soltanto perché io non condivido il parere che l'arte bizantina si sia spenta presto. Io ho tentato di esporre in brevissimi tratti il destino della pittura nella Serbia e nella Macedonia dal sec. XIII alla metà del sec. XV. Considero però questo mio tentativo chiuso con un capitolo dopo il quale la Storia prosegue.
Indagini speciali anche in avvenire tenderanno verso il problema a cui già da tempo si interessano gli studiosi, storici dell'arte: quale fu il rapporto dell'arte italiana con quella bizantina e quali furono i risultati di quelle simbiosi, di quegli incontri e influssi. Grazie a ricerche durate lunghi anni è stata abbastanza individuata la funzione dell'arte bizantina nella pittura italiana, specialmente dal sec. XI al sec. XV, però un ostacolo fondamentale rende molto difficile un'analisi più approfondita di questo problema: è ancora molto mancante di nesso e di stabilità la conoscenza dei modelli bizantini che ispirarono i maestri italiani.
Il processo inverso, cioè l'influsso dell'Italia sulla tarda arte bizantina, specialmente dal 1300, è reso ancor più confuso dalle ipotesi di studiosi più autorevoli, quali sono stati il Kondakov, l'Ajnalov e il Millet, i quali indubbiamente hanno sopravvalutato l'influsso di Venezia e di Siena, specialmente nelle loro interpretazioni delle tendenze « realiste » nella rinascenza dei Paleologi. I contatti tra l'arte bizantina e l'arte italiana appaiono abbastanza chiari nella vecchia pittura serba, che fu la diramazione più occidentale nel grande organismo della complessa arte bizantina. Nuove scoperte in questo campo sono state fatte appena negli ultimi tempi ed esse non convalidano molto le ipotesi di prima. Le forti rassomiglianze con i duecentisti italiani nella pittura serba del XIII sec. fanno pensare alla possibilità, che certi tratti, precedentemente considerati tipicamente italiani, siano in effetti, fedeli repliche di quelle tendenze artistiche bizantine, che nell'ambito dell'arte bizantina erano rimaste fino a poco tempo fa meno notate o, addirittura sconosciute. I rapporti artistici nel sec. XIV fra la pittura dell'Italia e della Serbia medievale sono meglio chiariti. Il materiale già noto e inoltre gli affreschi recentemente scoperti e ripuliti testimoniano che nel tardo Medio evo l'arte nei Balcani e quella in Italia furono arti appartenenti a due mondi del tutto diversi. Nonostante tutti i dati che ci dimostrano come i pittori del tardo Bisanzio conoscessero la vita dell'Italia e come a Venezia e sulle coste orientali dell'Adriatico esistessero « pictores graeci », fedeli alla tradizione, maestri che lavoravano come artigiani, seguendo il vecchio stile, bisogna pur riconoscere che, fra la pittura italiana e quella bizantina, fruttuosi influssi non vi furono. Le recenti scoperte ci fanno seguire un altro indirizzo: di non ingrandire le piccole somiglianze, ma di indagare sulle essenziali differenze. Mettendo gli evidenti contrasti uno di fronte all'altro — quei contrasti dinanzi ai quali spesso chiudiamo gli occhi — a me sembra che si potranno portare in piena luce le vere, elementari caratteristiche di ambedue queste arti dell'Europa divisa, due contraddizioni che corrispondevano pienamente al tragico confitto fra il cristianesimo orientale e quello occidentale nella burrascosa storia del Méditerraneo del sec. XIV e XV.


X Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina : Ravenna, 24 marzo-5 aprile 1963. Ravenna : Ediz. Dante, stampa 1963. pp. 293—325, 5 repr.